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La condizione giudiziaria della persona che soggiace alla misura giudiziaria degli “arresti domiciliari” è contrastante con la possibilità di ricorrere, nella rete, ai “social network”- come Facebook o Twitter – per essere in relazione con altri individui che non sono parenti del soggetto.
Lo ha detto la Suprema Corte di Cassazione, IV sezione penale, che ha dichiarato- con il verdetto 31 gennaio 2012, n. 4064 - che la non autorizzazione a comunicare con altri individui non parenti conviventi, che contrassegna i cosiddetti “arresti domiciliari”, vige anche riguardo all uso della rete e dei social network!
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In dettaglio gli “ermellini” della Suprema Corte hanno limitato l ambito informatico entro cui può operare chi è sottoposto agli arresti domiciliari: libertà, quindi, di navigare sul “web” per avere avvisi e comunicazioni; divieto assoluto di adoperarlo per contatti con altri per propri bisogni e scopi soggettivi.
Nel caso effettivo, argomento di disamina giuridica dell organo giudiziario del “Palazzaccio”, era la fattispecie di un soggetto punito che aveva avuto il subentro, dal Tribunale di Lecce, della disposizione degli arresti domiciliari con quello della custodia carceraria; ciò perché egli non aveva, per l appunto, rispettato il divieto di avere contatti con altri soggetti non parenti tramite Facebook.
Il ragazzo, nel corso della regolare ispezione dei carabinieri, era stato scoperto in flagrante sul web mentre comunicava - con Facebook – proprio con il coimputato della fattispecie di reato di riproduzione, detenzione e spaccio di stupefacenti, illecito per cui era stato sanzionato.
Nel proporre, attraverso i suoi legali, formale ricorso alla Corte di Cassazione, il soggetto incriminato aveva lamentato che, nell imposizione del citato divieto di avere contatti disposto dalla misura giudiziaria degli arresti domiciliari, non era stato evidenziato che esso comprendeva anche l impossibilita di “comunicare a distanza”; pertanto, secondo lui, egli aveva osservato a tutti gli effetti la legge perché nel provvedimento di limitazione non vi era alcun riferimento diretto alla proibizione di chattare in rete.
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L organo giudiziario di legittimità, con lo specifico verdetto di interpretazione, non hanno, tuttavia, accolto la sua versione e hanno, allo stesso tempo, respinto il ricorso avanzato, rimarcando nel verdetto stesso come nel caso di “arresti domiciliari” la non possibilità di comunicare comprende anche la rete, e in particolare Facebook. (a tal proposito si consulti anche Cass. Pen. sentenza n. 37151/2010)
Ma l utilizzo del pc – e in particolare della rete - non è vietato se alla base vi sono soltanto esigenze di conoscenza o studio da parte della persona sottoposta agli “arresti domiciliari”.
Nel caso effettivo l uso della rete da parte del soggetto (rispetto a cui è stata ristabilita la custodia carceraria), tuttavia, non aveva finalità conoscitive, come abbiamo detto prima, ma era teso a pianificare un altra fattispecie criminosa, da compiere non appena l altro complice sarebbe uscito dal carcere.
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Partendo da questa premessa, pertanto, la Corte ha legittimamente confermato il verdetto del Tribunale di Lecce.
In definitiva, usare il pc è legittimo, ma “chattare” su Facebook no, perché, così, la misura degli arresti domiciliari è sostituita con la pena carceraria.