Droga arresto detenzione - avvocato penale Francia

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Non vi è nessuna incompatibilità autonoma tra la prosecuzione degli arresti domiciliari e la prescrizione cautelative in carcere, ma compete al tribunale di sorveglianza esaminare l entità che l evento-reato imputato alla persona grava sulla permanente adeguatezza della misura alternativa a conseguire le finalità di tutela speciale e reintegro in società, con conseguente illiceità della cancellazione degli arresti domiciliari sulla base del mero sopraggiungere, nel corso dell applicazione, di una prescrizione di custodia cautelare in carcere (Cass., I, n. 23190 dd. 17/06/2002, Calia).

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Normative a cura dell autore: 1. Le succitate argomentazioni riaprono la questione del rapporto tra modalità cautelari e tipologie differenti da quelle della detenzione, facendo riferimento soprattutto al problema di una loro possibile sussistenza in seno ad un soggetto sottoposto ad una sentenza definitiva (su cui grava- o potrebbe gravare- la misura alternativa) e, contemporaneamente, indagata o imputata per altro evento-reato ( e su tale situazione sussiste una probabile prescrizione di custodia).

La prima sentenza prescrive la possibilità di una misura alternativa alla persona che per altra ragione abbia conseguito una prescrizione cautelare, mentre la seconda pronuncia prescrive l attuazione di una possibile custodia cautelare invece un beneficio carcerario è già in corso di applicazione, ed analizza l entità del titolo cautelare sulle possibilità di presenza della custodia emanata dal tribunale di sorveglianza.

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Le disposizioni della materia giurisprudenziale, ormai assunte dalla Cassazione e a cui sono riconnesse le due sentenze - fanno riferimento al principio di esclusione di qualsiasi tipologia meccanica di rifiuto della misura alternativa in rapporto alla sussistenza di una prescrizione cautelativa connessa alla persona in questione.

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Leading case e in che consiste questo orientamento è costituito dal procedimento chiuso dalla Prima sezione della Corte con sentenza n. 877/93 in data 14.4.93[1], che ha iniziato a stabilire le direttive nella materia, esaminando soprattutto il rapporto tra la tipologia cautelare dell affido in prova ai servizi sociali e quella personale degli arresti domiciliari.

In questo caso, il giudice di competenza ha prescritto il principio della possibile sussistenza e dunque della astratta eventualità di contemporanea applicazione delle misure alternative alla detenzione e di quelle cautelative, fondandosi sull art. 298, comma 2, c.p.p., per il quale la custodia cautelativa non ha alcun annullamento, ma mentre si applica nel caso in cui la pena prescrive una misura alternativa a quella della detenzione .

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Pure la Cassazione è orientata in questo senso, per cui considera corretta la simultanea applicazione di una delle forme alternative a quelle di detenzione previste dall Ordinamento Penitenziario e di una custodia cautelare personale.

Sarà poi competenza del giudice stabilire l effettiva conciliabilità della misura alternativa o di quella cautelativa, considerando la prevalenza della forma cautelare qualora si provi l esistenza di una condizione di inconciliabilità tra le medesime.

In questo caso, con una simile pronuncia la Cassazione stabilisce per la prima volta i principi che in seguito costituiranno la base di tutta la programmazione della materia giurisprudenziale seguente, ossia: possibilità, tenendo conto che gli orientamenti dell art.298, comma 2, c.p.p., che misure cautelari personali e forme alternative a quelle della detenzione siano applicate simultaneamente, ad eccezione che venga accertata in ambito giudiziario la loro conciliabilità effettiva; rilevanza delle forme cautelari, che il giudice deve considerare quando le due forme vengano riconosciute inconciliabili, con la conseguente reiezione per rifiuto della forma alternativa.

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Con ulteriori e successive pronunce, la Corte precisato meglio l iter logico-giuridico di cui il giudice competente deve tener conto per accertare la reale attuazione di una misura alternativa a quella della detenzione nel caso in cui si è di fronte ad un soggetto che occupa una doppia posizione giuridica.

Per queste ragioni, la Cassazione ha esaminato la specificità che sussiste tra il principio il cui scopo delle forme alternative rispetto a quelle di detenzione è quello rieducativo e le motivazioni di riduzione delle libertà personale, in merito ai bisogni di cautela come: l istanza di affido in prova ai servizi sociali avanzata dal soggetto sottoposto ad una procedura di custodia cautelare.

Escludendo una probabile declaratoria presidenziale (ex art.666 c.p.p.) di inammissibilità della istanza, la Corte stabilisce che il tribunale di sorveglianza ha il dovere di esaminare caso per caso le varie situazioni che gli si sottopongono, soprattutto accertando il carattere dell altra causa detentiva (ossia quella non definitiva) e quindi verificare, nel dettaglio se i limiti alla libertà come effetto di una misura restrittiva in forza della custodia cautelare siano conciliabili con la misura alternativa e se quest ultima possa essere concessa per tutte le sentenze definitive in applicazione.

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Con la seconda pronuncia sopramenzionata, invece, il giudice deve esaminare (nella diversa fattispecie della presenza di un titolo cautelare in capo al soggetto sotto regime di misura alternativa rispetto a quella detentiva) non soltanto la conciliabilità dei limiti alla libertà del soggetto sotto cautela, ma pure l efficiente beneficio della penitenza, ossia la natura dell evento-reato attribuito al soggetto sulla continua idoneità della misura alternativa di essere efficiente come elemento rieducativo.

La Corte ha, quindi, chiarito l importanza di altre due direttive nella materia in esame: esclusione di qualsiasi meccanismo di automatica chiusura al permesso o al rispetto di una forma alternativa a quella detentiva per l esistenza in capo alla persona di una forma cautelare personale.

Il presupposto di questo principio annunciato dalla Corte è l illegalità di una declaratoria di inammissibilità dichiarata ante iudicium, in base all art. 666 c.p.p., da parte del Presidente del Tribunale di sorveglianza [4]; l autorità giudiziaria della misura alternativa ha l obbligo di accertare non solo l effettiva conciliabilità delle procedure di restrizione della misura cautelare con l indipendenza del soggetto che espia la condanna con una misura alternativa a quella detentiva di natura ordinaria; ma anche, qualora giunga la custodia cautelare rispetto all applicazione della misura alternativa, l elemento di negatività che si determina sulla reale validità rieducativa dell allungamento del beneficio penitenziario per aver commesso un nuovo evento-reato.

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In applicazione del principio sub 3), la Cassazione, tenendo conto della giurisprudenza costante [5] non ha accettato, per il rifiuto dell affido in prova ai servizi sociali, l applicazione di un provvedimento applicativo di una custodia cautelare personale, relativa agli eventi-reato commessi prima che è stato accordato il beneficio penitenziario.

La Corte è arrivata a concludere ciò in quanto solo le condotte messe in atto dopo che è stato concesso il beneficio penitenziario possono pregiudicare il giudizio di permanenza dell efficienza rieducativa della misura; perché in merito al principio evidenziato si deve solo considerare la conseguente applicazione della forma alternativa rispetto a quella detentiva e della custodia cautelare, dovendo verificare solo la reale conciliabilità tra le due misure .